Il Barone dell’Alba di Stefano Valente. Un viaggio antico verso il mattino.
di Isabella Moroni
Quante storie possono essere racchiuse in una storia sola?
Infinite e Stefano Valente è un maestro nel produrre questa magia nelle sue narrazioni. Narrazioni che vanno sempre un po’ oltre, che sradicano le consuetudini, le abitudini, il pensiero comune e mettono ali al suo testo e, con lui, al lettore che s’appassiona e s’arrende alle sue storie.
Il Barone dell’Alba (edito da Graphofeel) è un libro nuovo.
È la storia del Barone Francesco Antonio Santamaria di Calòria, un giovane nobile del Regno di Napoli che, nel 1770 viene inviato da suo padre a compiere il Grand Tour, il viaggio iniziatico e culturale che, all’epoca, veniva intrapreso da tutti i giovani aristocratici d’Europa. Il Barone Padre, però, disdegnando le mete comuni, sceglie come destinazione prima del viaggio di Francesco, la città di Doràntia, “la Preziosissima”, “la Luminosa” che, negli immaginari distanti, riecheggia di splendori d’arte e di cultura e che, invece, si palesa come una immensa trappola dove, fra soprusi, colpi di stato, avverse fortune e morte, nulla è davvero quello che sembra. Ma Doràntia anche il luogo nel quale il Barone Santamaria avrà modo di vedere la fanciulla più straordinaria che potesse immaginare, innamorandosene perdutamente.
“Fu la rivelazione del cielo aurorale, del mattino che battezza il mondo – anzi: l’intiero Creato – per mezzo del suo azzurro angelico, delimitato dal viola che è l’incipienza solare: l’annunzio ancora soffuso del disco di luce sul punto di far divampare il confine fra l’Aria e la Terra.”
Una fanciulla che non c’è, un ritratto piccolo e perfetto: la figura di una giovinetta fiera simile a un cigno guerriero. Un’immagine per la quale vale la pena intraprendere un viaggio forse senza ritorno, vale la pena di conoscere verità orribili, di fare incubi, di precipitare in malattie debilitanti, di scoprire altri luoghi, altre storie, altre culture, di ascoltare decine di parole diverse, di diffidare di tutti e di affidarsi ad uno, uno solo che porta in sé la soluzione di ogni domanda; che porta in sé la fine e il principio. E forse la pazzia.
Il Barone dell’Alba è un libro nuovo. Nuovo rispetto agli altri romanzi dell’autore, nuovo non tanto nel senso di diverso, quanto di innovativo, accrescente, con tratti e scritture speciali.
Scritture.
Al plurale perché, addentrandoci nelle sue pagine, ci troviamo a confrontarci in primo luogo con numerosissime lingue, dialetti e parlate, a partire dallo spagnolo partenopeizzato della Signora Madre del Barone, al tedesco stizzito nell’italiano dovuto del Segretario Particolare del Cardinale di Doràntia, fino ai dialetti maltesi, siciliani, ad una lingua perduta del deserto egiziano… Al plurale, perché nella trama sono nascosti stili ed eventi che continuano a portare il lettore fino sull’orlo di precipizi o nella certezza di risoluzioni, per poi lasciarlo sospeso nel vuoto o reindirizzarlo verso una nuova avventura, facendolo adirare per la perdita di un’evidenza o atterrandolo con il disvelamento di un complotto o di un doppio. Al plurale, perché per destreggiarsi nella lettura delle traduzioni nelle note a margine, si imparano infinite sfumature che una scrittura sola, un’univocità stilistica, non avrebbe mai reso possibile. E imparare fa porre nuove domande, non solo esistenziali, spesso rivelate, spesso manifeste.
Chi è la Donna dell’Aurora dipinta nel quadro? È reale, è viva? Il Barone Francesco Antonio Santamaria di Calòria è davvero l’autore del manoscritto che Stefano Valente ha ritrovato ed ha reso, traslandolo per quanto possibile, nella nostra lingua? Dove si trova Doràntia? Esiste oppure è una “città invisibile”, come quelle di Italo Calvino delle quali porta il nome, femminile, luminoso e contrastante? E quanta fede nella magia ci vuole per resistere alle rivelazioni finali? Ecco, il libro molteplice, aspetta che ognuno possa dare nuove risposte, che il lettore si ingaggi in un’altra avventura che vada oltre e superi quelle narrate e dia una nuova e fresca pace all’anima azzurra del Barone dell’Alba.